Cyberbullismo: cos’è
Il cyberbullismo è un fenomeno complesso e in crescita, che racchiude una vasta gamma di comportamenti dannosi. Una definizione chiara e concisa è quella proposta da Tonukaga (2010):
“Un’azione ostile e aggressiva, ripetuta nel tempo, realizzata attraverso strumenti elettronici e digitali, con l’intento di arrecare sofferenza o danno a una vittima che si sente impossibilitata ad agire. Potrebbe essere considerato la trasposizione del bullismo tradizionale“.

La ripetitività: Un elemento chiave, con una differenza fondamentale
Come nel bullismo tradizionale, la ripetitività è un aspetto cruciale nel cyberbullismo. Tuttavia, c’è una differenza sostanziale:
- Bullismo tradizionale: L’azione deve essere ripetuta nel tempo per essere definita tale (ad esempio, uno strattonamento occasionale non è bullismo, ma se ripetuto quotidianamente con l’intento di ferire, allora lo diventa).
- Cyberbullismo: A causa della natura del mondo online, anche una singola azione può essere sufficiente per causare danni significativi, poiché può essere facilmente diffusa e condivisa, amplificando l’impatto negativo sulla vittima.
Anonimato e distanza fisica: Un’arma a doppio taglio
A differenza del bullismo tradizionale, il cyberbullismo spesso si verifica in un contesto di anonimato e distanza fisica tra le persone coinvolte. Questo può portare a sottovalutare l’impatto emotivo delle azioni online, ma anche rendere più difficile identificare i responsabili.
Le diverse forme di cyberbullismo: Un mosaico di azioni antisociali
- Flaming: Invio di messaggi ostili, minacciosi, rabbiosi o volgari, spesso con l’obiettivo di alimentare conflitti. Se questi messaggi sono rivolti a una community online, si parla di “trolling“.
- Molestie (Harassment): Invio ripetuto di messaggi offensivi o minacciosi.
- Diffamazione (Denigration): Diffusione di pettegolezzi e informazioni false per danneggiare la reputazione della vittima.
- Cyberstalking: Monitoraggio e persecuzione online, che può sfociare anche in comportamenti persecutori nella vita reale.
- Furto d’identità: Utilizzo non autorizzato delle informazioni personali di un’altra persona, spesso con intenti fraudolenti.
- Outing: Divulgazione di informazioni private o imbarazzanti sulla vittima senza il suo consenso.
- Happy slapping: Registrazione di aggressioni e violenze, con successiva diffusione dei filmati online.
- Ostracismo online (Exclusion): Esclusione intenzionale della vittima da gruppi o attività online.
Chi è coinvolto nel cyberbullismo? Un ecosistema di ruoli
La risposta non è scontata. Oltre l’aggressor* e la vittima ci sono molti altr* attor* che prendono parte alle azioni descritte sopra, chi dà il via al comportamento antisociale, chi osserva in silenzio senza prenderne parte.
Il cyberbullismo coinvolge diversi attori, ognuno con un ruolo specifico:
- Cyberbullo: “Colui che mette in atto comportamenti aggressivi online, spesso motivato da un senso di superiorità e dal desiderio di danneggiare gli altri” (Trolley et al., 2006; Willard, 2005).
- Vittima: Colui che subisce atti di cyberbullismo.
- Spettatore: Colui che assiste a episodi di cyberbullismo, che può essere attivo (partecipando o incoraggiando) o passivo (non facendo nulla per fermare la situazione).
Chi è il/la Cyberbull*
Comprendere chi sono i cyberbulli e cosa li spinge ad agire è fondamentale per sviluppare strategie di prevenzione e intervento efficaci. Le ricerche scientifiche hanno evidenziato alcune caratteristiche comuni in coloro che perpetrano atti di cyberbullismo, offrendo un quadro più chiaro di questo fenomeno complesso.
Genere e cyberbullismo
Uno dei dati più consistenti riguarda il genere: i maschi risultano essere coinvolti in azioni di cyberbullismo più frequentemente rispetto alle femmine (Barlett & Coyne, 2014). Questo non significa che le ragazze non siano coinvolte, ma semplicemente che la percentuale di cyberbulli maschi è statisticamente più alta.

Età e cyberbullismo: l’adolescenza come periodo critico
L’età è un altro fattore rilevante. Il numero di azioni di cyberbullismo tende ad aumentare con l’età, raggiungendo il picco durante l’adolescenza (Casas et al., 2013). Questo coincide con una maggiore familiarità con internet e le competenze informatiche che i ragazzi acquisiscono in questo periodo. L’adolescenza, con le sue dinamiche sociali complesse e la ricerca di accettazione, può rappresentare un terreno fertile per comportamenti aggressivi online.
Intervenire o osservare
Empatia: un deficit importante
Un tratto psicologico spesso riscontrato nei cyberbulli è una minore capacità di empatia rispetto ai coetanei (Steffgen et al., 2011; Renati et al., 2012). L’empatia è la capacità di mettersi nei panni dell’altro e comprendere i suoi sentimenti. La sua assenza o riduzione può rendere più difficile percepire le conseguenze negative delle proprie azioni sugli altri, facilitando comportamenti aggressivi.
Meccanismi psicologici:
Coloro che osservano senza intervenire, perché pensano di poter restare imparziali, invece non lo sono, perché il loro comportamento è interpretato come supporto all’azione antisociale. Sono attori parte del problema. L’inerzia delle persone che assistono senza agire, pur disapprovando quanto sta succedendo, può nascondere diverse motivazioni. Uno di questi è un meccanismo di influenza sociale che è stato confermato da numerose ricerche, in pratica assume che maggiore è il numero di persone presenti che assistono alla situazione , minore sarà la probabilità che si intervenga (Gordon Allport).
Il disimpegno morale: un predittore importante
Il disimpegno morale ha il potere di disattivare degli standard morali al fine di mettere in atto comportamenti lesivi che altrimenti non avremmo messo in atto, ad esempio giustificando l’azione lesiva o mettendola in confronto con altri comportamenti più gravi o sottostimando gli effetti che hanno avuto sulle vittime o biasimando e attribuendo la colpa di ciò che è accaduto ala vittima (Bandura et al., 1996).

Dunque il disimpegno morale è un meccanismo che può facilitare azioni di cyberbullismo, cambiando il modo in cui le persone cyberbull* guardano ai loro comportamenti, cercandone un vantaggio, allontanandosi dalle responsabilità che hanno su di essi (Pacilli, MG, Giovannelli, I., & Spaccatini, F.,
Psicologia sociale dei media digitali, Maggioli, 2021).
Altri fattori: un quadro più ampio
Oltre a genere, età ed empatia, altri fattori possono essere correlati al cyberbullismo, tra questi, l’autostima, la capacità di autocontrollo e il narcisismo. L’autostima, ovvero la valutazione che una persona ha di sé stessa, può influenzare il modo in cui si relaziona con gli altri. Un’autostima fragile o eccessiva può portare a comportamenti aggressivi. La capacità di autocontrollo, cioè la capacità di gestire le proprie emozioni e impulsi, è fondamentale per evitare di agire in modo impulsivo e dannoso. Infine, il narcisismo, ovvero un’eccessiva focalizzazione su di sé e un bisogno di ammirazione, può portare a comportamenti prevaricatori e aggressivi.
Conclusioni: un profilo complesso e in evoluzione
È importante sottolineare che il profilo del cyberbullo non è univoco e statico. Ogni individuo è diverso e le motivazioni che lo spingono ad agire possono essere molteplici. Tuttavia, le ricerche scientifiche ci forniscono informazioni preziose per comprendere meglio questo fenomeno e sviluppare interventi mirati.
Ricorda:
- Questo testo è basato su ricerche scientifiche, ma non deve essere utilizzato per etichettare o stigmatizzare i ragazzi, la ricerca è in continua evoluzione.
- L’obiettivo è comprendere per prevenire e intervenire, non per giudicare.
- Se sei preoccupato per un ragazzo coinvolto in cyberbullismo, chiedi aiuto a professionisti qualificati.
- Se sei un professionista che è a contatto con questi tipi di comportamenti, informati su fonti autorevoli e cerca di ricevere una formazione e supporto costante su queste tematiche urgenti e importanti.